Hit me, hit me supplica Dorothy/Isabella Rossellini nel capolavoro avant-garde di David Lynch, “Velluto blu” (1986). Vuole che il suo amante la colpisca con violenza mentre fanno l’amore. Il piacere per lei risiede nello stordimento del dolore fisico. Un’oscura ossessione dalla quale sembra essere irrimediabilmente assuefatta. L’uomo con il quale riesce a realizzare questo crudo bisogno è Frank/Dennis Hopper, un personaggio psicotico e immorale, incarnazione del lupo cattivo delle fiabe. “Velluto blu” con i suoi toni sinistri dipinge un gioco aspro e folle che lascia lo spettatore un po’ turbato.
Spesso il cinema si avvale di un linguaggio simbolico, empatico ed emozionale dove la comunicazione si basa più sull’interpretazione che sulla comprensione. Durante la visione di un film si instaura una linea diretta con il nostro subconscio ed è così che i film, in qualche modo, contribuiscono alla formazione di desideri e aspirazioni personali. Il cinema quindi diventa una lente di ingrandimento dell’immaginario collettivo e per l’erotismo la tendenza generale vede l’uomo nella tradizionale veste di dominatore e la donna in quella di accondiscendente preda. Come nel caso del film “Belle de jour” (1967) del maestro surrealista Luis Buñuel, dove le fantasie masochiste di una rispettabile moglie borghese, la glaciale Severine/Catherine Deneuve, sono raccontate in un’alternanza enigmatica tra sogno e realtà. Un altro film classificato da molti come un estremo esempio di cinema SM è il controverso “Il portiere di notte” (1974) diretto da Liliana Cavani, storia di un amore tra un’ex guardia nazista e un’ex vittima dei campi di concentramento. In realtà, il film è una metafora della condizione umana fatta di fragilità e di ombre, dove la complicità tra carnefice e vittima rivela un erotismo ambiguo, ma in fondo romantico e senza confini.
In tempi più recenti molti registi hanno rivolto il loro sguardo verso scenari BDSM – bondage, discipline, sado-masochism.
La rappresentazione cinematografica di temi legati alla sfera BDSM vede un incremento negli ultimi decenni, anche se bisogna precisare che molte volte si tratta di thriller erotici con un pizzico di kink, che però non mostrano un vero interesse verso la realtà BDSM.
A portare lo spanking nel mainstream è stato “Secretary” (2002) di Steven Shainberg. Il film ha un approccio positivo con l’argomento, eliminando il senso di colpa nel gioco tra sottomesso e dominatore. La pratica BDSM qui non è vista come qualcosa di sbagliato e malato, ma piuttosto come una cura che permette il fiorire di una relazione amorosa e consapevole.
Tutti questi film rinforzano il classico binomio uomo-sopra e donna-sotto. Allora, lasciate che vi presenti un’eccezione: Mistress Kirra. Non è il personaggio di un film, ma una donna in carne ed ossa con un’immensa passione per il cinema e una sana predisposizione per il sadismo.
Mistress Kirra è una professional dominatrix e sofisticata fotografa. Cresciuta a Sidney, ma attualmente risiede a Londra, in passato ha lavorato anche nelle famose chambers di Pandora’s Box a New York, dove Nick Broomfield ha girato il documentario “Fetishes” (1996). Il cinema per lei ha rappresentato e rappresenta una grande fonte di ispirazione.
Che ruolo ha avuto il cinema nella tua formazione personale?
Sono stata educata ad essere una brava ragazza, pudica e servizievole. Mi sembrava che i maschi avessero la vita più facile. Per questo sono sempre stata affascinata dalle femme fatal del cinema: donne senza scrupoli, oscure ed intriganti.
C’era questo fantastico piccolo cinema a Sidney chiamato “The Anchor” che era uno dei pochi posti dove proiettavano x-rated movie tipo soft-porn, horror e altri strani film underground: ho trascorso lì la mia adolescenza ed è là che ho visto “Faster, Pussycat! Kill! Kill!” (1967) di Russ Meyer. Ricordo di aver pensato: «Wow… this’s so fucking cool… cold-hard-super-sexy bitches!».
La protagonista Valla/Tura Satana tiene questo tipo tra le tette e lo strangola! È il primo film dove una donna uccide un uomo come dire, a mani nude!
Ci sono stati film in particolare che ti hanno avvicinato al mondo BDSM?
Il film “Maîtresse” (1976) di Barbet Schroeder mi ha affascinato per i costumi e la scenografia. È una ricostruzione piuttosto fedele dell’estetica BDSM. Quando vidi questo film pensai a quanto può essere figo essere pagata per indossare stivali sexy, pelle, latex, guanti, corsetti e maneggiare questi arnesi pericolosi come strumenti di tortura e apparati elettrici. “Inseparabili” (1988) di David Cronemberg è il film che mi ha suggerito il fascino del bondage e dello scenario clinico in generale. C’è una scena di sesso dove la donna è legata con un laccio emostatico e le sue braccia stanno diventando blu…
Sempre riguardo al bondage, anche classici western come “Il buono, il brutto, il cattivo” (1966) di Sergio Leone, in cui gli indiani legano i loro nemici… Certo, senza erotismo, ma ciò che mi colpiva era la situazione di controllo e di potere che si creava.
Qual è il thrill di essere una dominatrix?
Mi piace essere parte dei piccoli segreti delle persone, entrare nelle loro teste e creare questi psycho-drama e dominarli fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Lo trovo molto erotico e mi fa sentire the star of my own movie!
In alcune sessioni ho incorporato certe scene di alcuni film. Ovviamente questi film hanno avuto un impatto su di me e mi piace giocare e drammatizzare. Come da bambini quando giochi e pensi che sei un altro. Durante le sessioni umilianti ho la possibilità di essere una vera stronza. Per esempio la scena di stupro ultra violenta di “Arancia Meccanica” (1971) di Stanley Kubrick: indossando gli anfibi e con la mia bombetta in testa canto I’m singing in the rain… Adoro l’audacia di ridere in faccia a qualcuno e fargli cose orribili con il suo permesso!
In alcune sessioni militari ho usato frasi prese da “Full Metal Jacket” (1987) di Stanley Kubrick, anche se una delle mie citazioni preferite è presa dal film “The Doom Generation” (1995) di Gregg Araki: «You are just a life support system for a cock!».
Ant Bi
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